Lo SCI C.A.I. MACERATA: parlarne non è facile in succinto,sono tanti gli anni passati dal suo nascere.
Quanti ricordi!!!
Quando è nato? Perchè è stato creato? Chi sono gli uomini che in esso e per esso hanno lavorato?..... Soprattutto perché “SCI C.A.I.”???
Nel lontano 1946, presso la drogheria Maggi (in largo Gramsci,oggi un bar), un gruppo di amici, appassionati, fanatici della montagna fondano la sezione di Macerata del “Club Alpino Italiano”.
A fianco della sezione c’è il “Gruppo Sciatori Macerata”, Presidente Giulio Maccari detto Peppe.
Gli stessi fondatori,appassionati dello sci e delli pelli di foca,vogliono che lo sci sia nella sezione del Club Alpino,per cui il Gruppo Sciatori Macerata, affiliato alla Federazione Italiana Sport Invernali, cambia nome e diventa “SCI C.A.I.”
Lo sci non era evoluto tecnicamente come oggi, era, per gli appassionati della montagna un modo di non abbandonarla quando la neve non avrebbe più permesso di frequentarla se non con gli sci, di usare gli sci e scoprirne le meraviglie che altrimenti sarebbe stato difficile scoprire e godere.Legni lunghissimi,spesso rotti e aggiustati con piastre,scarponi militari come carte assorbenti, mantelline militari, tanta e tanta voglia di vivere insieme la montagna e di ritrovarsi con tanto desiderio di amicizia, si usciva da una dura guerra e da lotte fraterne.
Camion, rottami militari americani con panche e teloni, il mezzo di trasporto.L’ora di partenza?Antidiluviana.Uscivano i nottambuli frequentatori della Filarmonica e si intrattenevano in piazza con chi attendeva la partenza.Si incontravano gli scopini (pardon operatori ecologici) che guardavano quelle strane infagottate figure con legni e zaini sulle spalle.L’unico rumore nel buio dell’alba era quello dei chiodi degli scarponi sul selciato.Quanta nostalgia!
La Messa del mattino, prima di salire sul camion, alle cinque e trenta.
Le ragazze potevano entrare in Chiesa coprendo le larghe brache norvegesi (non certo gli aderenti fuseau di oggi) con la gonna.Altri tempi!
Si partiva.Oggi non si possono immaginare quei viaggi che duravano ore,il freddo intenso sotto i teloni, le stoffe di lana rigenerate o militari non scaldavano ma la gioia era tanta, l’amicizia, l’allegria, i ricordi della domenica precedente mitigavano il gelo.
Si cantava. Si sciava?? Viene da ridere,si faticava tanto tanto. I camion si fermavano a Piobbico o ad Acquacanina poi a piedi.
Piste? Le uniche piste che si conoscevano erano le “piste del maiale”. Oggi sarebbe offensivo chiamare sci quegli attrezzi di legno, spesso svirgolati, senza lamine che andavano dove volevano, spesso ad infrattarsi su rocce e piante.
Ben difficile un piatto di pastasciutta calda. Lo zaino sfornava pane e salato, frittate e formaggi, borracce di vino.
Inzuppati, un viaggio di ore il rientro. Ricordi di un traino di sciatori con corde dietro i camion sulle strade innevate. In piazza grande (il centro storico era aperto) c’erano curiosi e parenti che aspettavano il rientro degli sciatori. “Alluvionati” era l’epiteto affibbiato a quei fanatici dallo strano vestire.
Questi furono gli inizi eroici. Poi qualcuno più fortunato che aveva utilizzato uno skilift in una stazione del nord ne parla suscitando invidia e desiderio di esperienze nuove.
E’ l’inizio delle settimane bianche. Che vetrine, nella sede del Corso della Repubblica, allestiva Pepi (Piero Pierucci) allettando i passanti.
Un negozietto, sotto le logge, gestito da Dante Bianchini offre i primi validi attrezzi e scarponi tipo “Zeno Colò”.
Entra in scena il mago della soletta, Peppe Maccari, con la “glazite” un liquido che applicato a caldo diventava marmo di un bel rosso lucido, che andrà a suscitare la curiosità perfino dei maestri del Sestriere.
Si, dei maestri del Sestriere, perché è in quella località che si svolgerà la prima settimana bianca.
Si parte il sabato pomeriggio con pernottamento a Pinerolo o Piacenza in modesti alberghetti. Forse stava più comodo Vincè Miconi che, sempre scrupoloso e pignolo, nel timore che si fregassero i bagagli sul tetto dell’automobile, dormiva sui sedili. Si cantavano “papaveri e papere”, “vecchio scarpone” e “vola colomba” appena uscite dal festival di Sanremo.
Sestriere. Visi schiacciati sui finestrini, una montagna incantata, mezzi di risalita, piste battute, sciate interminabili fino a notte anche dopo la chiusura degli impianti. Hotel senza stelle!!! Rifugio Venini del C.A.I. Uget. Ex casermetta degli alpini pressoché intatta (se non peggiorata) nei servizi e negli arredi. Chi non ricorda Celestino, il vecchio cameriere piemontese che ancora osannava i Savoia, scaricando piatti su piatti che si nascondevano sotto i tavoli. Andreotti (non il Giulio) il gestore, guida alpina, figura simpatica che in una lunga traversata fuori pista riuscì a far venire la diarrea per la paura ad uno della nostra comitiva.
La “Banchetta”. Caro Duccio quanti ricordi e che dolori!!! Gli anni si sono accavallati, ne sono passati tanti.
Non c’era SCI C.A.I. o C.A.I., c’era il C.A.I. : uniche gite, uniche cene, unici veglioni. Una magnifica famiglia di appassionati.
Le prime gare: Moretti, Grasselli, Pierucci, Mainini, Riccitelli Fernando e Lamberto, Graziani, Pietroni. Gara ad Ussita, dal Cornaccione alla Intermedia di oggi. Non esistevano mezzi di risalita, pista battuta a piedi, trasporto dei pali ( e che pali… travi) con una tregghia a rimorchio. Grossa partecipazione, vigili del fuoco, tranvieri da Roma. Premi?? Una pastasciutta dalla Gorgolini.
Nominare gli uomini dello SCI C.A.I., sono tanti, alcuni non ci sono più ed il loro ricordo è e sarà sempre vivo. Tutti, giovani e meno giovani, hanno contribuito a tenere vivo lo SCI C.A.I. .
Mi ha fatto tanto piacere sentire uno dei giovani papà di oggi, dire che lo SCI C.A.I. doveva vivere sempre anche se qualche incomprensione, superabile con la stima, può aleggiare tra i pistaioli e puri della montagna che vedono i primi come fruitori non degni dei nostri monti.
In modi diversi le amiamo, queste nostre cime, le pratichiamo con il maggior rispetto possibile volendo essere degni del nome C.A.I. che porta lo SCI CLUB.
Passando alla seconda generazione dello SCI C.A.I. , come non ricordare il “Sibilla”. Che settimane bianche (o meglio in bianco)!! Tombesi, Freddi, Angelini, Pieroni, Caltagirone (Cartò), Leonfanti (Montecascià), Angeli e le Terese Angeli e Ricciuti, Agnese e tantissimi altri. Lazzaroni ma simpatici. Ortelio, la vittima, che cercava di riportare lo SCI C.A.I. tutti gli anni al Sibilla nonostante il terremoto.
La terza generazione è quella dei Baby e Cuccioli, con tute da competizione e caschi. Il futuro è loro ma le indicazioni spettano ancora a noi. Avviciniamo questi giovanissimi, facciamoli sentire membri di questa grande famiglia, è una casa nella quale vorremmo continuare ad abitare perché è ciò che i ricordi ci suggeriscono.
Non possiamo, nella memoria, non ricordare con tanto affetto il Segretario Lamberto Cresci che tanto bene ha voluto ai giovani.
Un Vecchio